Macchine, Vapore e Pressione: La Storia dell’Espresso Italiano
- Giovanni Adipietro

- 4 giorni fa
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La macchina da espresso è il cuore di ogni caffetteria o bar, ma anche uno degli strumenti più affascinanti del mondo del caffè. Chi lavora nel settore sa che non basta accenderla e premere dei bottoni: bisogna conoscerla, capirne i limiti, leggere i segnali che manda...un pò come un direttore d’orchestra con i suoi musicisti. Prima però di arrivare alle odierne macchine super performanti bisogna fare un passo indietro. Tutto infatti è partito da una grande visione in una piccola officina.


Nel 1884 Moriondo, un imprenditore torinese, sfruttò le tecnologie a vapore ad alta pressione per risolvere un problema concreto dei caffè dell’epoca: l’estrazione era troppo lenta.
Progettò e brevettò quindi una macchina con caldaie, pressione controllata e flusso
rapido d’acqua sul caffè, capace di servire molte tazze in pochi istanti. Fu la risposta tecnica alla domanda di velocità ed efficienza della Torino industriale. La pressione era bassa, la crema ancora inesistente, ma quel principio “espresso come fatto al momento” gettò le basi per tutto ciò che sarebbe venuto dopo.
Nel 1901, Luigi Bezzera, ingegnere milanese, perfezionò l’invenzione di Moriondo lavorando soprattutto sull’ingegneria del flusso termico e pressorio: ottimizzò il modo in cui calore e pressione venivano generati, stabilizzati e trasferiti al caffè, rendendo l’estrazione più regolare e riproducibile grazie a filtri e valvole di sicurezza. La sua innovazione fu soprattutto di tipo funzionale, volta a rendere la macchina più rapida, continua e adatta al lavoro dietro un bancone.



Desiderio Pavoni, imprenditore anch’egli milanese, acquistò poi il brevetto e fondò La Pavoni nel 1905. Lavorò sulla robustezza della struttura, sulla sicurezza dell’impianto e sull’ergonomia
dell’operatore, rendendo la macchina più affidabile nelle lunghe sessioni di servizio. Le sue macchine in ottone e rame divennero icone del periodo: lente, rumorose, ma efficaci. Questi passaggi portarono la tecnologia dell’espresso da una concezione sperimentale a una piattaforma professionale stabile e utilizzabile in qualsiasi caffè. È in quegli anni che 'espresso' iniziò a significare non solo rapidità, ma anche attenzione individuale: un caffè preparato per una persona, non per un gruppo.
Achille Gaggia, imprenditore ed inventore, come i suoi predecessori, brevetta la sua macchina a leva per espresso nel 1947, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, in un periodo in cui i bar italiani riprendevano vita e si cercava di standardizzare l’espresso come prodotto di qualità, veloce e riproducibile.


Con la macchina a leva, il caffè diventava cremoso grazie al modo in cui veniva generata la pressione. Tirando la leva, l’acqua veniva spinta attraverso la polvere di caffè con alta pressione e rapidità, creando una emulsione tra oli e acqua che formava la
caratteristica crema densa in superficie. La regolarità della pressione era fondamentale: se troppo bassa o irregolare, la crema non si formava e l’estrazione risultava acquosa. Per ottenere questo risultato si utilizzava principalmente caffè con tostatura medio-scura, abbastanza intensa da liberare oli e aromi, ma non così scura da bruciare i sapori, combinazione essenziale per ottenere un espresso aromatico, corposo e con crema stabile.
Con Faema, azienda che già produceva attrezzature per il mondo caffetteria, avvenne un ulteriore salto tecnologico negli anni 1950–1960, che rivoluzionò il modo di fare espresso. L’innovazione principale fu l’introduzione della pompa rotativa elettrica, che sostituiva la leva manuale di Gaggia. Questo sistema permetteva di generare pressione costante e regolabile senza l’intervento fisico del barista, garantendo un flusso d’acqua uniforme attraverso il caffè e una crema più stabile. La macchina diventava così più veloce, meno faticosa da usare e capace di produrre espresso di qualità costante anche in bar molto frequentati. In pratica, Faema aprì la strada all’espresso moderno così come lo conosciamo. Molti dei principi introdotti allora, come preinfusione e bilanciamento termico, sono ancora oggi lo standard del settore.


Oggi, la macchina da espresso è uno strumento di precisione. Permette di profilare la pressione, gestire la temperatura al decimo di grado, e controllare il flusso in estrazione. Chi lavora nello specialty la usa come un laboratorio: parametri, curve, dati.

Eppure, l’elemento umano resta centrale. L’occhio, l’orecchio e l’esperienza valgono quanto la tecnologia — perché ogni caffè reagisce in modo diverso, e nessun software può sostituire l’intuizione. Dalle caldaie di Moriondo ai gruppi saturati di oggi, la macchina da espresso ha attraversato più di un secolo di trasformazioni. Ogni innovazione ha reso la bevanda più precisa, più costante, più leggibile. Ma la logica resta la stessa: estrarre il meglio da un chicco tostato, in equilibrio tra scienza e sensibilità. Conoscerne la storia non è solo cultura: è capire perché, ancora oggi, un espresso ben fatto continua a emozionare anche chi lo prepara ogni giorno.




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